La domenica appena prima del Natale è quella in cui si legge un brano fisso del Vangelo, quello della genealogia di Gesù. È un brano che si legge anche nelle liturgie romana e ambrosiana, ma è un brano che quasi mai viene spiegato e nemmeno ascoltato con grande attenzione, perché lo si sente soprattutto come un lungo e noioso elenco di nomi. Ecco, questa sera vorrei osare provare a leggere insieme con voi questo brano, soffermandoci almeno sui nomi principali che a noi dicono poco se non abbiamo un’ampia consuetudine con la Bibbia, ma che ci aiutano a capire ancora di più perché l’arrivo del Natale ci colma di gioia e di stupore.
Il brano, versetti 1-16, è tratto dal primo capitolo del vangelo di Matteo:
«1Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.»
Sappiamo che la genealogia era un vero e proprio genere letterario, perché laddove non esistevano le anagrafi con i certificati di nascita, narrare chi erano i propri antenati significava dire già chi sono io: io sono uno che ha una storia, uno che è il prodotto di una serie di storie di uomini con le loro luci e le loro ombre. Ecco, Cristo stesso, diventando uomo, si sottomette a questa legge: diventa anche Lui uno che verrà guardato e giudicato in base ai suoi antenati, in base alla famiglia da cui discendeva. Sappiamo che verrà chiamato il figlio del carpentiere, alludendo a Giuseppe, ma soprattutto in questo Cristo condivide con noi un dato della vita che spesso per noi è faticoso. Ciascuno di noi nasce in una condizione precisa, che non è soltanto legata alla ricchezza o meno della propria famiglia, ma è soprattutto una storia affettiva, una storia di parenti dai più prossimi ai più lontani che hanno segnato le vicende della mia famiglia, che mi hanno lasciato delle eredità pesanti, che mi hanno lasciato dei doni, che a volte mi sembra che mi abbiano determinato, un atteggiamento della mia famiglia che magari vivo come una gabbia, come qualcosa di faticoso.
Ecco, Cristo viene con una genealogia alle spalle, prendendo su di sé una storia che arriva fino ad Abramo, proprio perché in questo modo ci vuole dire che Lui è il Signore anche di queste storie ed è capace di liberarci anche dalle fatiche e dai pesi che ci portiamo addosso per la storia familiare in cui siamo capitati.
«2Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli…»
Abramo è colui che dice di sì al Signore che lo chiama a uscire dalla sua terra, ma Abramo è anche colui che si fida di Dio, ma nello stesso tempo è come se volesse continuamente preparare già lui a Dio il modo di compiere la sua promessa. Abramo è sterile, non ha figli e questa era la più grande sventura per un uomo del suo tempo e, quando Dio gli promette una discendenza che però tarda ad arrivare, ecco che Abramo le prova tutte per costruirsi lui un proprio discendente. Prima vuole adottare come figlio il capo dei suoi servi e chiede al Signore di benedirlo. Ma il Signore gli dice: «No, uno nato da te sarà tuo figlio». Poi si fa prestare da Sara una delle sue schiave e la mette incinta, perché secondo le consuetudini del tempo questo permetteva di avere una discendenza. Ne nasce Ismaele, che Sara, gelosa, vuole cacciare insieme ad Agar, la schiava da cui è nato. E Abramo dice al Signore: «Se almeno Ismaele trovasse benevolenza ai tuoi occhi!». Ma il Signore dice: «No, uno nato da te e da Sara sarà il tuo discendente». Finalmente, in seguito all’apparizione di questi tre angeli alle querce di Mamre ci sarà la gravidanza di Sara e la nascita di Isacco.
Isacco è una figura molto più debole che non Abramo, una figura quasi di raccordo tra Abramo e Giacobbe, eppure anche Isacco fa parte della schiera di antenati di Cristo. Giacobbe è colui che nasce già in conflitto con il suo gemello Esaù. Giacobbe è colui che con un sotterfugio, con un inganno, orchestrato insieme alla madre, riesce a carpire la benedizione da suo padre Isacco e per tutta la vita dovrà scappare dal fratello che vuole vendicarsi per essere stato derubato della primogenitura.
Poi «Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli» e tra questi c’è anche Giuseppe, che per invidia venne venduto dai suoi fratelli come schiavo in Egitto. Ecco, Gesù prende su di sé questa storia familiare così densa di meschinità, ma anche di disponibilità a lasciarsi riprendere dal Signore.
«3Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram,»
Tamar è la prima donna che compare nella genealogia di Gesù. Ma chi è questa donna? La storia di Tamar è un racconto abbastanza complesso per noi. Racconta come Tamar era stata scelta come figlia da Giuda per il suo primogenito Er. Ma Er, questo figlio dato a Tamar da suo padre, si era messo a peccare contro il Signore. Er a un certo punto muore e Tamar resta senza figli e vedova. Ora noi sappiamo che nell’Antico Testamento per una donna il restare vedova senza figli non era soltanto un disonore, una sventura, ma voleva dire anche rimanere senza un tutore, senza chi le facesse da rappresentante legale, poiché la donna non aveva una piena personalità giuridica. Proprio per questo motivo la legge patriarcale, e poi la legge di Mosè, permetterà alla donna che restava vedova e senza figli di ottenere da un fratello del marito di essere presa come moglie, messa incinta e poter quindi generare un figlio che attraverso il fratello del marito defunto, in qualche modo continuasse la famiglia. Ecco, Tamar vorrebbe questo secondo le consuetudini del tempo, ma il fratello di Er rifiuta, perché non vuole rischiare di dover dividere l’eredità anche con il figlio avuto con la cognata. Allora, Tamar, vedendo che non riesce a ottenere quello che era un suo diritto, si traveste da prostituta, si mette al crocicchio di una strada e aspetta nientemeno che suo suocero, Giuda, il padre del marito di cui era rimasta vedova. Con un sotterfugio lo convince a giacere con lei, rimane incinta e ha un figlio. Quando il suocero, che non ha ancora capito di essere stato con lei, si accorge che è incinta e vuole punirla per aver tradito la memoria del figlio defunto, ecco che Tamar gli rivela che cosa è veramente successo e che in quel modo aveva esercitato il diritto che le era stato negato. Alla fine Giuda la riconoscerà più giusta del figlio, che non aveva voluto fare il suo dovere nei confronti di lei.
È una storia lontanissima dal nostro modo di pensare, che potrebbe persino scandalizzare, ma che ci fa capire che cosa voleva dire per Gesù dire di avere tra i suoi antenati una figura così. Nello stesso tempo, nella Bibbia Tamar diventa la figura positiva di una donna tenacemente aggrappata alla speranza di poter diventare anche lei una delle antenate del Messia, proprio grazie alla generazione dei figli. E questa è una caratteristica importante, perché in una genealogia l’ingresso di una donna era un fatto particolare.
Dopo Tamar, «Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, 4Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, 5Salmon generò Booz da Racab»
Ecco altri due personaggi importantissimi. Siamo ormai al tempo della conquista della terra santa da parte degli ebrei e Raab (o Rahab come viene chiamata) era una prostituta che viveva in una casa sulle mura della città di Gerico. Quando vengono mandati da Giosuè gli esploratori per vedere la situazione del paese che avrebbero dovuto conquistare, questi esploratori vanno a rifugiarsi nella casa di Raab e, quando il re di Gerico viene a sapere che sono arrivati degli stranieri e cerca di catturarli, Raab li nasconde sul tetto della sua casa e li salva dalla morte. Li fa poi fuggire, perché dice: «So che il Signore è insieme al vostro popolo e so quindi che sarete voi a conquistarci. Ecco allora in cambio di questo mio atto di generosità nei vostri confronti, vi chiedo che risparmiate me e la mia famiglia». Quindi, Raab, una prostituta non ebrea, straniera, riconosce la potenza del Dio di Israele e sposerà Salmon generando un figlio, Booz. Chi è questo figlio di una straniera? Booz è colui che proprio a Betlemme secondo il libro di Ruth accoglierà un’altra straniera, Ruth, la moabita, anch’essa rimasta vedova di un israelita. Dopo essere rimasta vedova, con la suocera Noemi era andata a Betlemme, prendendosi cura di lei. Ebbene, Booz vedrà Ruth, se ne innamorerà, la prenderà in moglie e in questo modo diventerà addirittura il nonno del re Davide.
Il re Davide, forse il più importante, o il più amato fra tutti i re di Israele, nella sua ascendenza ha ben due straniere, Raab e Ruth. Anche questo è un fatto sconvolgente, perché la prima figura di donne è una figura, Tamar, che viene giudicata male e che poi invece si rivela più giusta dei suoi accusatori, ecco che Raab è il simbolo della straniera che viene accolta nel popolo di Israele e Ruth è addirittura una straniera che ha compassione e amore per la suocera e per lei non esita ad abbandonare la propria terra natale e a vivere come una straniera a rischio di disprezzo e di essere trattata male in una terra che diventa poi la sua terra. E Gesù, che sappiamo che aveva come titolo “Figlio di Davide”, nella sua ascendenza ha anche queste due donne straniere.
Ma ancora nella genealogia si legge:
«…Obed generò Iesse, 6Iesse generò il re Davide. Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Uria…»
La moglie di Uria è Betsabea e Uria era un generale di Davide, sposo di questa donna bellissima. Un giorno, mentre questo valoroso generale fedele a Davide era in guerra, Davide ne vide la moglie che prendeva il bagno sulla terrazza di casa. Se ne invaghisce, la fa chiamare a corte e la rende sua amante sino al giorno in cui Betsabea gli manda a dire che aspetta un bambino. Davide perde la testa e, per non svelare a tutti il tradimento compiuto, non sa escogitare niente di meglio che far sì che il comandante delle truppe faccia morire Uria, il suo generale più valoroso, in una sortita fatta apposta perché poi il nemico riesca a riprendere il sopravvento. Dunque, Davide fa uccidere dai nemici un suo generale valoroso per mascherare il misfatto compiuto, prendendosi poi in moglie la vedova del generale. Questo è il grande peccato di Davide, da cui trae origine il salmo 50: “Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; / nella tua grande bontà cancella il mio peccato…”.
In questo caso nella genealogia di Gesù la figura di Betsabea è anche il simbolo di un’unione adulterina, di un’unione che è costata addirittura la morte del legittimo marito. Quindi, anche questa presenza nella genealogia di Gesù è tutt’altro che di poco significato; al contrario, dice che Gesù viene prendendo su di sé anche tutta la crudeltà, tutta la follia, tutta la passionalità dell’uomo, ma nello stesso tempo anche tutta la grandezza del perdono di Dio: quando Davide si accorge del male commesso e chiede perdono, Dio lo riconcilia a sé e lo mantiene sul trono di Israele.
Dopo Davide, abbiamo la vicenda dei re di Israele:
«7Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abia, Abia generò Asaf, 8Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, 9Ozia generò Ioatàm…», fino ad arrivare a Manasse, il re più empio che Israele abbia conosciuto: un re idolatra e che tradisce l’alleanza. Dopo di lui viene Giosia, re giusto che restaura il culto del Dio d’Israele, che celebra la Pasqua, quando ormai da anni era stata dimenticata la festa più importante dell’ebraismo. Eppure, Giosia muore giovane, sconfitto in battaglia dal faraone Necao. Questo è uno dei grandi punti di domanda della storia biblica: come mai Manasse, il re empio e idolatra, ha un regno lunghissimo, e invece Giosia, che opera il bene e rinnova l’alleanza con il Signore, viene ucciso prematuramente?
Ecco, che anche questi due re siano nella genealogia di Gesù significa che Gesù assume su di sé anche tutta l’accusa di contraddizione che gli uomini spesso fanno a Dio, quando pensano che Dio sia ingiusto, perché lascia prosperare i malvagi e permette che i buoni periscano presto.
Abbiamo poi tutto il resto della genealogia, dove c’è la deportazione in Babilonia, c’è il ritorno da Babilonia. Si arriva infine a Mattan:
«…Mattan generò Giacobbe, 16Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.»
Ecco una conclusione inattesa per la genealogia di Gesù, perché appunto tutta la genealogia che comincia con Abramo e finisce con Giuseppe, ma non si dice «Giuseppe, dal quale è nato Gesù», ma «Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo». Questa, per chi la sa leggere, è una delle affermazioni più forti della nascita verginale di Cristo, perché l’inserimento in questo modo di Maria nella genealogia, è un unicum, è una rottura nella serie delle generazioni.
Ecco, la prima domenica precedente il Natale, nel rito bizantino diventa esattamente la memoria di questa genealogia di Gesù e questa genealogia diventa la preparazione più immediata.
Qual è lo scopo per cui Gesù assume su di sé tutta questa complessità della storia? Ce lo dice benissimo il primo tropario del vespero del sabato di questa domenica, che dice: «Vergine tutta immacolata, vivente reggia di Dio, tu hai portato in te Colui che i cieli non possono contenere. Nella grotta lo partorirai oltre ogni comprensione, divenuto povero e fatto carne per deificare me e arricchire colui che era divenuto povero per la sua intemperanza di fronte all’amarissimo frutto».
È interessantissima questa antifona, perché ci mostra le dimensioni che entrano nella festa del Natale. Innanzitutto, lo stupore: “Tu, o Maria, immacolata vergine, vivente reggia di Dio, hai portato in te Colui che i cieli non possono contenere”, il Verbo di Dio, appunto!
“E tu lo partorirai nella grotta oltre ogni comprensione”, oltre ogni immaginazione da parte nostra. Colui che i cieli non possono comprendere è divenuto povero, povero come un bimbo che nasce in una stalla, fatto carne per rendere me dio: Dio si è fatto carne per rendere me, che sono carne, dio e arricchire colui che era divenuto povero. Dio aveva fatto l’uomo ricco di tutto il paradiso terrestre e l’uomo è diventato povero per non essersi fidato della generosità di Dio, per aver pensato di voler strappare quell’unico frutto che Dio gli aveva detto di attendere a gustare.
“Ecco, io sono Adamo, io sono Davide, Abramo, Isacco, Giacobbe”: questo io è ciascuno di noi, che ritrova nella sua storia un peccato, una pusillanimità, un’intemperanza, una rigidità, un rifiuto della storia in cui è messo. Ecco, io sono tutti questi, ma nello stesso tempo io sono incontrato da Cristo, perché vuole arricchirmi, vuole farmi diventare come Lui.
«Registrato Cristo tra gli schiavi per comando di Cesare, nella tua amorosa compassione, tu vieni a donare la libertà, la vita e il riscatto, o Paziente, ai servi ingrati che venerano la natività salvifica di Colui che è venuto a salvare le nostre anime». Quanto realismo in quest’altra antifona! Cristo viene registrato tra gli schiavi, tra i sudditi dell’impero romano, ma nella sua amorosa compassione – dice subito – viene a donare la libertà, la vita, il riscatto dal peccato, Lui a noi che siamo servi ingrati. Che cosa ci rimane, però? «Servi ingrati che venerano la natività salvifica»: ecco, qual è la nostra possibilità di riscatto. Se ci guardiamo dentro troveremo sempre mille atti di ingratitudine verso tutti i doni che il Signore ci ha fatto, però, ci resta una possibilità: venerare, cioè guardare colmi di stupore e di gratitudine la nascita di Cristo, perché è questo sguardo, è questo stupore che ci rende possibile attingere ancora la salvezza.
Ecco, dunque, questa domenica prima del Natale che ci permette di riconoscere che il cammino dell’avvento è anche il cammino di tutta la storia sacra ed è quel cammino che fa sì che io possa arrivare davanti alla mangiatoia di Betlemme con una consapevolezza più profonda, più vera di quello che sta accadendo. Con una consapevolezza del valore della storia che la Bibbia racconta, ma proprio perché questa storia grande mi permette di rispecchiare la mia storia, piccola, eppure completamente bisognosa di salvezza.